Il 19 Ottobre del 2003 un astrofilo dilettante, Olivier Meeckers, nel fotografare il pianeta Giove si è accorto che, vicino alla linea del suo equatore, si era formata una macchia nera di origine sconosciuta. [1]
Dopo la prima serie di frame ne ha scattate altre dopo mezz’ora dimostrando come il buco non fosse un’ombra di un satellite ma un reale buco sulla sua superficie in quanto si era spostato seguendo il moto di Giove.
Inoltre dai primi rudimentali calcoli fu verificato che la macchia nera, delle dimensioni della Terra, non era della grandezza giusta per essere l’ombra di un pianeta, e che essa “ruotava” seguendo la velocità di rotazione di Giove e non delle sue lune, confermando che era proprio una sorta di “buco” aperto sulla sua superficie.
Infatti da Wikipedia si apprende che Giove ha 67 satelliti naturali di varie dimensioni (da 3.000 km a meno di 250 km) e la loro traiettoria orbitale varia da quasi perfettamente circolare sino ad orbite altamente eccentriche ed inclinate. Inoltre, la direzione del moto orbitale di gran parte di essi è retrograda rispetto al senso di rotazione di Giove. I periodi orbitali sono allo stesso modo molto variabili, spaziando tra sette ore e tre anni terrestri. [2]
Si pensò ad un impatto con qualche corpo celeste, come quello avvenuto nel 1994 con la cometa Shoemaker-Levy. Ma anche questa ipotesi fu scartata perché, se vi fosse stato un corpo celeste di dimensioni tali da creare un “buco” su Giove di quelle dimensioni, sarebbe stato avvistato settimane o mesi prima dell’impatto (cosa che non è accaduta ). Le dimensioni infatti di quel buco erano approssimabili a quelle del nostro pianeta. [6]
Qualcosa quindi di incredibile era accaduto su quel pianeta, qualcosa che non ha mai avuto una spiegazione ufficiale da coloro che gestiscono l’ informazione pubblica e dalla NASA in primis.
Eppure, loro avrebbero avuto molte cose da dire su questo argomento, preferendo invece che questo “mistero” si perdesse nell’oblio.
Tuttavia, qualcuno aveva previsto questo evento qualche mese prima dei fatti, ma non fu creduto. Questo articolo cercherà di chiarire i retroscena di questa vicenda, e di condurre il lettore a capire come quell’evento avrebbe potuto cambiare, se non cancellare, in un attimo tutte le specie viventi sul nostro pianeta.
Torniamo indietro a qualche anno prima.
Il 18 ottobre 1989 la NASA lancia la sonda battezzata “Galileo” (in onore del celebre astronomo italiano Galileo Galilei, il primo ad osservare i satelliti gioviani), facendogli fare il primo “passo” in quel lungo cammino dalla “pancia” dello Space Shuttle Atlantis nella missione STS-34. La sonda Galileo giunse in prossimità di Giove circa 6 anni dopo, attraverso un lungo percorso, al fine di prendere la velocità orbitale necessaria sfruttando le forze gravitazionali sia della Terra che di Venere. A questa sonda dobbiamo diversi “primati” e successi, quali quello di aver scoperto il primo satellite di un asteroide e di essere stata la prima sonda ad orbitare intorno a Giove. La sua missione primaria era quella di studiare il “sistema” gioviano, ovvero Giove e le sue lune, sulle quali effettuò dei flyby ravvicinati. [3]
In uno di questi “incontri ravvicinati”, la sonda Galileo si portò a meno di 180 Km da Io il 15 dicembre 2001. Le radiazioni che circondano questa luna, però, danneggiarono irreparabilmente la sonda, che fu “tenuta in vita” sino al 21 settembre del 2003, data in cui fu fatta precipitare nell’atmosfera di Giove. [3]
Ma questa decisione fu presa solo in ultimo momento, in quanto originariamente essa si sarebbe dovuta schiantare sul suolo di Europa, una delle lune/satelliti gioviani. Tuttavia, proprio su Europa, la sonda aveva scoperto un probabile oceano di acqua liquida, nascosto sotto una spessa coltre di ghiaccio e che avrebbe potuto contenere da 4,5 miliardi di anni una ricca forma di vita aliena. [3] [7]
Il fatto che Europa possa essere abitata o che abbia condizioni interessanti per poter essere abitata trova evidenza nelle affermazioni dell’astrofisico russo Boris Rodionov e nelle intenzioni di Europa, USA e Russia di tornare su Europa. [8] [9]
Europa e la Terra messi a confronto. Le due sfere di colore celeste mostrano in maniera indicativa la quantità di acqua che si trova su di essi. (JPL/Caltech)
Considerando una profondità di un centinaio di km, se tutta l’acqua presente su Europa fosse concentrata in una sfera, questa avrebbe un diametro di circa 1.750 km. Per confronto, tutta l’acqua esistente sulla Terra potrebbe essere racchiusa in una sfera di circa 1.500 km, con unvolume da 1,5 a 2 volte inferiore al volume dell’acqua esistente su Europa! [7]
Nel 2002 quindi fu cambiato, da parte della NASA, il modo in cui porre fine alla vita della sonda, per prevenire una contaminazione biologica di Europa. Possiamo leggere la dicitura esatta delle motivazioni nel rapporto del Consiglio Nazionale delle Ricerche Scientifiche della NASA, che cita testualmente: “Questa procedura si è resa necessaria per salvaguardare l’integrità scientifica di studi futuri sul potenziale biologico di Europa” . [1]
Ma che problemi avrebbe potuto avere il “potenziale biologico di Europa” dall’impatto della sonda Galileo sulla lastra di ghiaccio di quel pianeta?
Non è stato molto pubblicizzato il fatto che la sonda, al fine di poter avere la sufficiente energia per durare svariati anni in un tratto di spazio dove la luce solare non sarebbe bastata per essere utilizzata da pannelli solari, sia stata dotata di un carico di ben 22 chili di plutonio. [5] [10] [11] (Nella fonte [1] è riportato che sono stati 48 Kg ma è un errore di traduzione dato che erano 48 pounds che corrispondono a circa 22 Kg)
Motore della sonda Galileo funzionante con 48 kg di plutonio 238
La sonda Galileo impiega due Generatori Termoelettrici a Radioisotopi (RTGs). I generatori RTG forniscono energia attraverso il decadimento radioattivo del plutonio 238. Questo fenomeno produce calore,successivamente convertito in elettricità. Questa fonte di energia elettrica è affidabile, estremamente duratura nel tempo, insensibile al freddo spaziale e virtualmente invulnerabile ai grandi campi magnetici, come le fasce di Van Allen terrestri. [4]
Quando la NASA, dunque, annunciò la sua intenzione di far impattare la sonda Galileo su Giove, un ingegnere olandese, Jacco van der Worp, fece osservare come questo impatto poteva essere molto pericoloso, proprio per il contenuto del motore di Galileo. L’analisi fu pubblicata il 7 settembre 2003 ovvero due settimane prima che la sonda si impattasse sulla superficie gioviana. Egli infatti dimostrò come il materiale fissile contenuto nella sonda poteva trasformarsi in una bomba nucleare della portata di 400 chilotoni. Un’esplosione nucleare che sarebbe avvenuta all’interno dell’atmosfera gioviana, prevalentemente costituita da idrogeno (notoriamente un gas esplosivo), col rischio di aumentare la forza della deflagrazione e di poter “accendere” Giove e trasformarlo in un secondo sole. [11]
E’ inutile dire come la NASA ebbe un atteggiamento di totale indifferenza di fronte a queste teorie, anzi di aperta denigrazione sino al 19 ottobre del 2003. In quella notte, un astronomo dilettante in Belgio, Olivier Meeckers, utilizzando il CCD di una webcam ed un piccolo telescopio rifrattore, scoprì e fotografò una macchia scura sul bordo meridionale di Giove, noto come “cintura nord equatoriale”, lasciando una debole “coda” a sud-ovest. Mezz’ora dopo, Meeckers prese una seconda serie di fotogrammi, in cui si vede molto chiaramente come la “macchia” era ancora presente, anche se con la veloce rotazione di Giove si era spostata di migliaia di chilometri più a est. Molti astronomi allora pensarono: “Peccato che non ci sia più la sonda Galileo ad osservare questo curioso ed insolito fenomeno sulla superficie di Giove, chissà che immagini ad alta risoluzione avremmo avuto a disposizione…”. A qualcuno allora sovvenne che, appena un mese prima, la sonda Galileo si era impattata sulla sua superficie, e che un ingegnere olandese ( Jacco van der Worp ) aveva qualche mese prima messo in guardia dal pericolo di un innesco dei 22 chili di Plutonio della sonda.
Le ipotesi “pessimistiche” si erano rivelate non del tutto infondate.
Se osserviamo la struttura della sonda Galileo, possiamo constatare la totale assenza di pannelli solari atti a prelevare dell’energia dall’esterno (non sono menzionati nemmeno nella pagina di Wikipedia della Sonda Galileo). Al suo interno era stato infatti dotato di un motore in grado di sprigionare un’elevata quantità di energia grazie ai famosi 22 chili di plutonio-238 inseriti in un “generatore termico di radioisotopi”, o RTG (vedi foto sotto). [12] [3]
Ma vediamo cosa è il plutonio 238 o, come si suol definirlo, PU-238.
Il PU-238 decade tramite emissioni di raggi alfa e gamma. I suoi derivati sono anche altamente radioattivi, e rimangono tali per lunghissimo tempo. Il motore RTG cattura questa radiazione in un meccanismo di scambio termico e la trasforma in energia. Questa unità RTG fornisce quindi una quantità elevata di energia per molti anni. Questo tipo di motori son stati già testati da precedenti sonde, quali i famosi Pioneer e Voyager. In nessun altro modo, infatti, avrebbero potuto continuare a tramettere dati per oltre 30 anni, come in effetti hanno fatto.
Ma il Plutonio 238 è un pò l’isotopo “canaglia” nella famiglia plutonio. E’ infatti il “meno desiderato” degli isotopi di plutonio per la realizzazione di centrali nucleari, o addirittura per la costruzione di bombe nucleari. Infatti questo elemento è molto instabile, e raggiunge molto presto quella che si chiama “massa critica”, cioè quella concentrazione che innesca un processo irreversibile di scissione nucleare, “deflagrando”. Si è calcolato che la massa critica del Plutonio 238 sia di pochi chilogrammi (da 2 a 4 kg)… nella sonda Galileo ce n’erano 22! Per evitare che il PU-238 all’interno del motore della sonda deflagrasse ancor prima di partire dalla Terra, la NASA ha avuto l’accortezza di suddividere il plutonio in tanti piccolissimi elementi, rivestendoli di uno scudo protettivo che impedisse ai vari “pellets” di unirsi in una massa unica o superiore ai 4 chili. [11]
Ma ciò fino a quando la sonda non ha iniziato il viaggio della morte.
Quando la sonda è stata scagliata contro Giove non si è semplicemente “distrutta” impattando ad un “suolo”. Infatti mentre nel nostro pianeta c’è una crosta di materiale solido (sulla quale viviamo), Giove è principalmente costituito da un vasto strato di gas attorno ad un nucleo roccioso.
Quindi la sonda ha continuato a precipitare sempre più nel “cuore” di Giove per quasi un mese ( guardiamo le date 21 settembre – 19 Ottobre ).
Giove risponde alle stesse leggi del nostro pianeta. Più si va verso il suo centro, più si alzano sia la temperatura che la pressione. Dopo un mese la sonda era a migliaia di chilometri dentro il nucleo di Giove dove sia la pressione sia la temperatura hanno fuso il rivestimento dei “pellets” di plutonio 238, facendo raggiungere ai 22 kg la “massa critica”, autoinnescando una deflagrazione nucleare.
Si calcola che si è arrivati ad una potenza di 400 chilotoni. Hiroshima è stata annientata con una bomba da 13/18 chilotoni.
400 chilotoni all’interno di un pianeta fatto da idrogeno, elemento come sappiamo altamente infiammabile ed esplosivo!
La “macchia nera”che si è formato sulla sua superficie aveva quasi le dimensioni della Terra.
Per ulteriori dettagli tecnici vedi [12].
Ma cosa abbiamo rischiato?
In tutti i libri di scuola si legge come Giove sia quella che si definisce una “stella mancata”. Praticamente, il nostro sistema solare sarebbe potuto essere un sistema binario, cioè un sistema con DUE SOLI. Giove è il più grande dei pianeti del sistema solare, con un raggio di 71.500 km (11 volte maggiore di quello della Terra). La sua composizione chimica, però, è molto più simile a quella del Sole che a quella dei pianeti rocciosi: infatti è prevalentemente gassoso, con abbondanza di idrogeno ed elio. [13]
L’accensione di un sole avviene quando due o più nuclei di idrogeno vengono compressi, sino a far prevalere la repulsione elettromagnetica, unendosi tra loro ed andando a generare un nucleo di massa maggiore dei nuclei reagenti. Il processo di fusione è il meccanismo che alimenta il Sole e le altre stelle. Infatti, in esso, la fusione di due atomi di idrogeno avviene nel nucleo più interno solo grazie alle enormi pressioni e temperature che vi si raggiungono (dell’ordine di milioni di gradi).
Nel pianeta Giove queste pressioni e temperature sono “leggermente” al di sotto dell’autoaccensione.
Il grosso rischio che abbiamo corso nell’ottobre del 2003 è stato che l’enorme deflagrazione nucleare del plutonio della sonda Galileo avrebbe potuto fungere da innesco e far superare al nocciolo gioviano la sua massa critica, trasformandolo in un sole. Se questo fosse successo, avremmo avuto uno stravolgimento dell’intero sistema solare, a partire dai satelliti/lune gioviane. Lo spesso strato di Europa si sarebbe immediatamente sciolto, e le ipotetiche forme biologiche di vita aliena contenute nei suoi mari si sarebbero risvegliate alla luce accecante di un nuovo sole.
Ma le razze biologiche presenti sulla Terra sarebbero state spazzate via da un’onda d’urto dalle conseguenze devastanti.
Infatti, quando si accende un sole, il suo diametro si riduce bruscamente contraendosi, ed esso espelle nell’accensione la parte esterna della sua atmosfera, con conseguente di perdita di massa.
Milioni di tonnellate di idrogeno infuocato si sarebbero sparse in ogni direzione, colpendo l’atmosfera terrestre alla velocità di oltre 1000 chilometri al secondo. Il risultato sarebbe stato catastrofico. Lo strato esterno della nostra atmosfera sarebbe stato modificato, provocando un bombardamento di raggi letali provenienti dal “vecchio” Sole che, perdurando per settimane o mesi, avrebbe reso sterili tutte le forme di vita (vegetale o animale) presente sulla Terra, o le avrebbe uccise lentamente con malattie indotte da radiazioni. [1]
Ma nessuna delle “autorità competenti” ha reso pubblico tutto questo. Siamo quindi in presenza di un vero e proprio cover-up teso a coprire questo madornale errore di valutazione della NASA, a cui ha fatto seguito la totale assenza di informazione nei mass media e nelle numerose riviste scientifiche e di settore. Per fortuna tutto questo scenario apocalittico non si è realizzato, ma siamo stati ad un passo dal farlo.
Non si poteva mandare la sonda Galileo a perdersi nello spazio profondo?
Il commento più idoneo che ci viene in mente a conclusione di questa vicenda è che l’informazione debba essere LIBERA e non “veicolata” o controllata da chi detiene il potere (economico/politico/scientifico). E’ arrivato il momento in cui noi tutti dobbiamo ascoltare più fonti d’informazione, per arrivare alla creazione di una coscienza e di una conoscenza condivisa universale.
http://www.dionidream.com/