Il tema della morte rappresenta, forse paradossalmente, un elemento decisivo nella vita dell’Uomo, capace di condizionarne anche pesantemente
il corso e le caratteristiche. Basti pensare che tutte le principali religioni e la maggior parte delle filosofie elaborate nel corso dei secoli sono imperniate sul concetto della morte e sul suo più intimo significato, individuando, di conseguenza, un complesso di “regole” etiche e morali.
Fin dalla notte dei tempi l’uomo ha circondato la morte di un alone di rispetto e di paura, sottoponendo i defunti a un trattamento speciale (emblematico è, a tal proposito, il caso degli Egizi) e considerando la morte come un’entità a sé stante, suscettibile di possedere poteri in grado di superare la comprensione umana, un’entità che era necessario ingraziarsi.
Il mistero della morte, o meglio del se e di cosa ci sia “dopo” di essa, ovvero se questa corrisponda al termine ultimo dell’esistenza stessa o, al contrario, all’inizio di una “nuova” vita magari in seno a una diversa “dimensione” dell’essere, rappresenta uno dei più profondi e fondamentali interrogativi.
Leggi anche
Per l’uomo contemporaneo, l’esistenza è sostanzialmente legata al concetto di vita biologica e nient’altro: da qui deriva il senso di angoscia associato al pensiero della morte intesa come la fine ultima e irreversibile della vita.
Da un punto di vista strettamente biologico è evidente che, indipendentemente dalle cause specifiche che possano condurre alla morte di un soggetto, tale condizione è caratterizzata da un quadro clinico comune che, inevitabilmente, conduce a una condizione di “shock” medico. Quest’ultima è sostanzialmente caratterizzata da una mancanza di afflusso di ossigeno agli organi vitali la quale, qualora non opportunamente “invertita”, determina il successivo arresto cardiaco, vale a dire il manifestarsi di quella condizione clinicamente definita quale “morte”.
Infatti, diversamente da ciò che può accadere quando organi diversi dal cuore smettono di funzionare, una mancanza di ossigeno importante può condurre, nell’arco di pochi secondi, all’arresto cardiaco e alla morte del soggetto che, a sua volta, può sopraggiungere anche pochi secondi dopo.
Per tale motivo la definizione clinica di morte si riferisce all’assenza di battito cardiaco, di attività respiratoria e di riflessi nel tronco encefalico e della conseguente assenza di attività cerebrale dovuta alla mancanza di ossigeno (fenomenologicamente associata alla dilatazione e alla insensibilità delle pupille alla stimolazione luminosa).
In questo senso dunque la morte, più che un processo di carattere mistico o filosofico, quale veniva ed è tuttora spesso considerata, si caratterizza come un fenomeno di natura prettamente fisica e biologica, conseguente alla mancanza dell’afflusso di ossigeno al cuore e al cervello.
Nessun commento:
Posta un commento