IL SEGRETO DELL’OCCHIO DI HORUS



L’incredibile scoperta paleoastronautica di Lucio Tarzariol, un’altra prova sull’esistenza di aeromobili in epoche remote e della comunicazione tra i continenti prima della scoperta dell’America.

Studi e interpretazioni del ricercatore

L’azteco Occhio di Quetzalcoatl, la rappresentazione del corrispondente egizio Occhio di Horus; o meglio come dice Sitchin nella traduzione della sua undicesima tavoletta sumera, “la Colonna Fiammeggiante, il Pesce Celeste donato a Horon da Ningishzidda ”Premetto che molte scoperte archeologiche non sono state fatte a colpi di piccone e pala, ma chiusi in uno studio o in un museo, infatti ciò che per lo scavatore non è che un pezzo tra le migliaia di reperti archeologici ad un attento ed oculato studio può rivelarsi unico, anche a decine di anni dal ritrovamento dello stesso; come accade al British Museum nel 1872, quando un semplice incisore di nome George Smith, appassionato dilettante di antichità assire, si trovo davanti ad una tavoletta assira proveniente da Ninive con il primo frammento ritrovato del resoconto del Diluvio. Qui abbiamo una storia analoga, in quanto l’immagine del reperto che ho potuto studiare, ha trovato la sua interpretazione, cinquant’anni dopo il suo ritrovamento a Teotihuacan, città sita a 40 chilometri a nord-est di Città del Messico. Il reperto archeologico che andrò a presentarvi e che ho battezzato come “Occhio di Quetzalcoatl”, ha dell’incredibile, in quanto è uno dei rari ritrovamenti che supporta la già fondata prova dell’esistenza di aeronavi in epoche remote che potevano solcare i cieli del nostro pianeta.
Inoltre il reperto archeologico, per la capacità artistica e comunicativa della rappresentazione, rivela la sua unicità, nella vera interpretazione da dare alla corrispondente raffigurazione egizia del noto Occhio del dio Horus e dimostra nello stesso tempo, l’incontestabile esistenza di una civiltà evoluta ed arcana che aveva interessi e
mezzi per sorvolare spazi e distanze che partivano da Eliopoli, ossia dalle terre d’Egitto fino a Teotihuacan e
nelle altre terre dell’America centrale protette da divinità come, per l’appunto Quetzalcoatl, Viracocha, Kukulkan,
ecc..
IL SERPENTE PIUMATO


La figura di Quelzalcoatl si esprime attraverso il culto del serpente alato, molto diffuso nell’America Centrale del periodo precolombiano dove appare legato ad un popolo di astronomi che abitava il Messico addirittura 3500 anni fa ed è legato ai mitici “Sapienti dalla pelle chiara”, che apparivano come serpenti ricoperti di piume e che
sarebbero giunti in Messico su grandi navi senza remi. Questi misteriosi individui dai tratti caucasici, “forse i superstiti della popolazione atlantidea”, sono stati rappresentati a La Venta addirittura in enormi sculture. Presso i popoli dell’America Centrale il Serpente piumato è visto come portatore di civiltà, maestro di astronomia e
architettura. Ecco perché secondo le leggende maya il dio serpente portò in Messico l’arte delle piramidi e queste stesse leggende descrivono le piramidi anche come strumenti per trasformare l’anima dopo la morte, con vaghe correlazioni con l’Egitto e proprio in Egitto, infatti, è stata trovata la rappresentazione di un’anima umana
che riposa su un serpente piumato e negli antichi miti locali il drago Apep governava proprio il mondo delle
tenebre.
Quindi, alla luce di quanto detto, appare chiaro l’intrinseco valore dell’Occhio di Quetzalcoatl, in quanto ci troviamo in presenza di un artefatto ancora di maggior interesse paleastronautico rispetto alle altre scoperte anacronistiche, quali la Navicella in argilla di Tropakkale, trovata nel sito, anticamente noto come Tuspa, in
Turchia, oggi custodito nel museo di Istanbul, o il noto bassorilievo olmeco scoperto in una parete di roccia basaltica a Cerro della Cantera, Chalcatzingo Morelos, in Messico, raffigurante una sorta di mezzo di locomozione volante che viaggia sotto la pioggia con spirali e segni interpretati come fiamme che fuoriescono
dalla parte posteriore del velivolo, esplicando chiaramente che si tratta di una sorta di aeronave o navicella spaziale dove all’interno è visibile addirittura la sagoma di un uomo che siede posando le mani su una sorta di pannello di comando; o ancora, l’altrettanto interessante e nota stele di Palenque, del Chiapas, a sud di Ciudad
del Carmen, del peso di 5 tonnellate, lunga 4 metri, che Erich von Daniken interpreta come l’immagine di un astronauta, che, oltre a proporre i tradizionali simboli religiosi, mette in evidenza, anch’essa per l’appunto, una figura molto simile ad un aeronave; ed in questo caso Incuriosisce il fatto che L’Occhio di Quetzalcoatl
rassomigli chiaramente all’uccello sacro di Quetzal rappresentato nell’estremità della stele e ritenuto un simbolo del cielo, rappresentante il viaggio spirituale del re Pacal, o come credo, il veicolo grazie al quale egli ascende in cielo; proprio come accade per gli egizi con il loro uccello sacro Bennu. che rappresentava il Ba, “l’anima” del dio
Rà, di cui era l’emblema, mentre nei testi funerari era il defunto stesso il Bennu, considerato la manifestazione stessa di Osiride risorto; non da meno il figlio Horus, il cui termine deriva da hrw o hr, che in egiziano antico sta per “colui che vola alto nei cieli”, lo stesso termine che indicava il cielo stellato era per gli egizi Hat Hor, ossia “la
dimora di Horus”. Horo era raffigurato anche come una scimmia bianca giunta dal cosmo con la sua “camera celeste”, era il dio dell’energia, del sole e della scienza, e il compagno di Thoth, il dio inventore dell’alfabeto, che fu rappresentato dagli egizi con la testa di Ibis. Nel Libro dei Morti al capitolo LXVI si legge: “Io sono Horus che
proviene dall’occhio di Horus”.

LA NAVICELLA DEGLI DEI ED I GUERRIERI AQUILA


L’Occhio di Quetzalcoatl “datato circa VIII secolo d.C., ma forse immagine molto più antica,” proveniente da Teotihuacan a confronto, con il bassorilievo olmeco trovato su una parete di roccia basaltica a Cerro de la Cantera, Chalcatzingo Morelos, in Messico, con la Navicella in argilla di Tropakkale, trovata nel sito,
anticamente noto come Tuspa, in Turchia e con l’immagine della stele di Palenque, il sarcofago del re Maya Pacal, vissuto nel VII secolo d.C.. Notare la similare rappresentazione dell’uccello sacro Qetzal sopra cerchiato nella stele di Palenque con la raffigurazione dell’Occhio di Quetzalcoatl
L’Occhio di Quetzalcoatl, ritenuto come una semplice rappresentazione di una divinità azteca sconosciuta, ha catturato subito, a prima vista il mio interesse, in quanto rappresenta, ad una mia interpretazione, ciò che è chiamato “l’uccello sacro Quetzal”, in realtà un aeronave o velivolo spaziale, rappresentato con una grafica
incredibilmente elaborata, come in uso presso le civiltà precolombiane, che, come accade anche ai nostri bambini della prima infanzia, hanno la prerogativa di raffigurare ciò che conoscono, oltre a ci che vedono, ad esempio disegnando la lisca dentro il pesce; così anche i nativi americani rappresentavano ci che sapevano oltre a ciò che vedevano. Infatti raffiguravano l’acqua nel suo scorrere con un susseguirsi e ripetersi di forme per indicare la direzione, o per rappresentare un interloquire tra persone, o forme e spirali che dipartivano
dall’oggetto per darne comunicazione visiva delle fiamme e del movimento, tutto per una pi accurata comunicazione di ciò che vedevano l’oggetto fare o sapevano poteva fare.

L’Occhio di Quetzalcoatl a confronto con la rappresentazione del movimento dell’acqua e della voce in un piatto della cultura Chavn, circa 900-200 B.C. e con un altro piatto azteco proveniente da Teotihuacan. Dallo studio dell’immagine ho potuto notare da subito, la similarità con la rappresentazione corrispondente dell’Occhio di Horus, infatti spogliato dei simboli rappresentanti le fiamme ed il movimento, appariranno chiari i tratti essenziali che delineano l’occhio. Ma non c’è da stupirsi, Horus era un essere divino simile all’uomo che

poteva trasformarsi in falco, anzi, Horus è soprattutto un termine generico per un gran numero di divinità falco ed è rappresentato anche con l’occhio piumato, così Quetzalcoatl era una divinità simile all’uomo che poteva trasformarsi nell’uccello sacro Quetzal che qui appare anch’esso proprio come un occhio piumato.

Le stesse divinità nelle tre diverse culture: sumera, egizia e olmeca rappresentantì gli “dèi uccello”

Assume un enorme importanza il fatto che questo artefatto dimostra e chiarisce dalle false interpretazioni l’originario e reale significato dell’Occhio di Horus, proprio perché qui l’artista ha rappresentato quello che realmente vedeva; una macchina volante che poteva librarsi in cielo e atterrare a piacere, ciò che le
rappresentazioni degli egizi, per capacità artistica e cultura, non hanno saputo dare; anche se nel loro Libro dei morti molto chiari sono i versi che attribuiscono all’Occhio il potere di volare, ad esempio: “In verità io sono il figlio primogenito di Osiride Ed io dimoro nell’Occhio divino”… “Allora simile ad un grande Falco d’Oro
dalla testa di Fenice Io spicco il volo verso il cielo”…”Io sono Horus, io che mi approprio della Barca celeste”…”Guarda! È l’Occhio di Horus Che si eleva fiammeggiante, innanzi a te”…” “Simile al Falco di Horus io mi libro nel cielo; le mie grida sono acute, come quelle di un’anatra selvatica, (altre volte sono paragonate ad un uccello acquatico) Io discendo, volteggiando verso la Regione dei Morti”… “Ecco io plano, simile ad uccello, dal cielo”…”Io sono colui che dimora nell’Occhio di Horus, Ecco che io giungo e rimetto Maat (La dea Maat è spesso rappresentata come una donna con una piuma di sul capo e simboleggiava la verità, la giustizia, fu la madre di Amon,) Nelle mani di Rà (il dio sole),”… ecc..


Nella raffigurazione che segue oltre ad essere messe in evidenza le possibili manovre che poteva fare l’Occhio di Horus, o meglio l’aeronave, è messo in evidenza anche il suo spostarsi nel cielo, infatti, il ripetersi della stessa raffigurazione che potrete notare separando l’immagine in due parti, può avere la sola funzione che il comunicare che l’oggetto raffigurato poteva occupare più spazi, quindi era in movimento, con la funzione aggiunta a ciò che rappresentano quel stesso susseguirsi di spirali che vengono interpretate, dagli studiosi,
generalmente come fiamme, ma che in realtà, a mio parere vogliono rappresentare soprattutto il movimento cosa che una rappresentazione statica, senza artifizi, non può dare.

Come potete vedere separando in due parti il reperto, noteremmo il ripetersi dell’immagine, e a mio parere, ciò prova la volontà di mettere in evidenza l’avanzare dell’aeronave nel cielo, proprio come una sequenza in una pellicola di un film.
Apparirà chiaro che la scoperta dell’Occhio di Quetzalcoatl, proveniente da Teotihuacan, “l’antica città degli dèi del tuono”, legata per analogia alle altre divinità precolombiane come le divinità Inca di Viracocha e Maya di Kulkulkan; è per l’appunto, anche la rappresentazione dell’analogo Occhio del dio egizio Horus o Ra; più precisamente ne è la più dettagliata rappresentazione finora esistente, tanto da darne la giusta interpretazione che non a caso, dalle mie ricerche trova corrispondenze persino con la traduzione di alcune tavolette sumere e
accadiche tradotte da Zecharia Sitchin nel suo libro: “Il Libro perduto del dio Enki”, dove nella traduzione dell’undicesima tavoletta, chiaramente accenna ad un aeronave donata a Horus dalle deità sumere; e traducendo ci riferisce: “Ningishzidda (Thoth) consegnò a Horus una Colonna Fiammeggiante come un
pesce celeste, con le pinne e la coda infuocate, i suoi occhi mutavano colore, dal blu al rosso e poi
nuovamente blu.
A bordo della Colonna Fiammeggiante Horus si librò in volo verso il trionfante Seth. In lungo e in largo si diedero la caccia; feroce e spietato fu il combattimento. All’inizio venne colpita la Colonna Fiammeggiante, poi con il suo arpione, Horus colpì Seth. Al suolo Seth si schiantò e Horus lo legò…”.
Non bisogna scordare che Quetzalcoatl letteralmente significa Serpente uccello, o meglio serpente con piume preziose di Quetzal, e analogamente Horus aveva la facoltà di trasformarsi in falco; probabilmente così descritto, perché poteva volare con il suo Occhio, o Colonna Fiammeggiante; nel Libro dei Morti degli antichi egiziani
tradotto da G. Kolpaktchy e D. Piantanida, al capitolo LXXVII si leggono versi del tipo: “Io prendo possesso dei
divini attributi di Horus…”, “Sappi dunque che io pure, mi libro altissimo sopra la mia tomba…”,
”Concedimi un vestimento di piume! Ecco che rinvigorisci il mio cuore…”. e guarda caso, sono noti a tutti i “guerrieri aquila” aztechi, rappresentati con le loro misteriose vesti. In Perù, addirittura, vi è un luogo dove sorgono le mura di Sacsayhuamn, “Luogo del Falco”, un sito archeologico Inca, in un’altura di Carmenca, a nord
della città di Cusco, dove si adorava, per l’appunto, Viracocha o meglio “l’Horus mesoamericano”. Queste mura sono alte fino a 18 metri e sono composte da misteriose pietre megalitiche che provenivano, dalle cave più vicine, che comunque distano pi di 20 km, in una località chiamata Muyna. Inoltre è noto a tutti Il misterioso
“Fuente Magna”, un vaso ritrovato proprio in Bolivia nel 1950 con incisioni in cuneiforme Sumero. Del resto anche a Sud dell’Illinois, nel 1982, un certo Russel Burrows scoprì migliaia di frammenti di roccia incisi con raffigurazioni che risentono di un influsso culturale egizio-sumero, contribuendo così a supportare la tesi del
contatto oltre oceano.
Zecharia Sitchin sempre nelle sua traduzione dell’undicesima tavoletta, ci racconta che Gibil, prozio di Horus, gli creò anche dei sandali alati “affinché fosse in grado di librarsi in volo come un falco. Per lui fabbricò un arpione divino, le sue frecce erano come fulmini. Negli altipiani del sud Gibil gli svelò i segreti del metallo e della sua lavorazione”. Apparirà chiaro il perché in america latina sia sorta la misteriosa oreficeria tumbaga e moccica, e dopo tutto anche l’arpione sopra descritto, potrebbe benissimo essere rappresentato dalle
stesse doghe che, iconograficamente, Quetzalcoatl tiene in mano nelle sue antiche raffigurazioni.
Ecco i “sandali alati di Horus?”. L’agenzia giornalistica Reuters ha riferito la notizia che nella giungla del Guatemala settentrionale presso il sito maya di El Mirador alcuni ricercatori, di recente, hanno messo in luce degli incredibili pannelli intagliati rappresentanti esseri con aspetto umanoidi in dotazione di
apparecchiatura tecnologica per volare. A fianco una curiosa statuetta ritrovata sempre in Guatemala che sembra rappresentare un essere in tuta spaziale



Rappresentazioni Moche, Tumbaga, Chavin, Olmeca; notare l’arpione ed i copricapi che evidenziano la
prerogativa del librarsi in volo
In realtà basterebbe osservare le raffigurazioni Maya, azteche, olmeche e vi apparirà chiaro ed evidente la rappresentazione di una civiltà originaria venuta a contatto con esseri evolutiche avevano la capacità di volare con vari mezzi, tra cui L’Occhio di Quetzalcoatl, o Occhio di Horus, o con la Colonna Fiammeggiante, o Pesce Celeste, cosi ben rappresentato in questo incredibile artefatto. Di queste aeronavi ne abbiamo anche le misure, nel libro dei morti si legge: “Steso lungo il fianco della montagna dorme il Grande Serpente. Lungo trentaune e largo otto (54 metri per 15). Il suo ventre è ornato da silici e piastre scintillanti. Ora io conosco il nome del serpente della montagna. Eccolo: colui che vive nelle fiamme. Dopo aver navigato in silenzio
Ra lancia uno sguardo al serpente. Repentinamente la sua navigazione s’arresta”. Diverse misure appaiono anche nei resoconti dello studioso Michele Manher che riporta alcuni strani scritti come quelli del papiro di Ani, una versione del Libro dei morti di Hunefer custodito nel British Museum che raccontano curiosi
avvenimenti, al capitolo LXXVII si legge: “io volo via e poi atterro (stando) dentro il falco; il suo dorso misura sette cubiti, 3,7 metri, (mentre nella traduzione del Libro dei Morti degli antichi egiziani di G. Kolpaktchy e D. Piantanida si parla di quattro cubiti e le ali risplendono come smeraldi del Sud), le sue due ali sono come di feldspato verde. lo esco dalla nave-sektet, il mio cuore va sulla montagna orientale”, al capitolo LXXVIII si legge: “io ti do il nemes di Ruty, il mio, affinché tu possa andare e tornare per la strada celeste. Gli dei del Duat, che sono all’estremità del cielo, ti vedranno, ti rispetteranno, s’impegneranno davanti alle loro porte per te, lahwed sarà con loro. Essi si sono dati da fare per me, gli dei padroni dei confini (del mondo), coloro che sono legati alla dimora dell’unico Signore. lo infatti in alto (ero) presso lui che galleggiava: dopo di ché egli prende il mio nemes, come aveva detto Ruty. lahwed apre per me un passaggio. lo sono in alto, Ruty aveva preso il nemes per me, l’aveva messo sulla mia testa, aveva allacciato per me il mio corpo nel suo schienale, per la sua grande potenza io non posso cadere nel vuoto … io ho visto le sante cose segrete, io sono stato addestrato nelle operazioni nascoste, io ho visto ciò che c’è in quel luogo, il mio pensiero nella maestà del signore dell’aria … io sono come Horo tra i suoi illuminati … ho attraversato le regioni pi lontane del cielo. … ‘Un bel viaggio!’ mi hanno detto le divinità del Duat”. Al capitolo CLXXV si legge: “cos’è questo? lo vi ho viaggiato e, inoltre, non c’è acqua, non c’è aria, non c’è vento, buio, oscuro, senza limiti, senza confini.”. Al capitolo LXXXV si legge: “Ho

passato un giorno nella base isolata dove c’è l’avvampamento vi ero andato in missione, ne ritorno per rendere conto, aprimi affinché possa dire ciò che ho visto. Horo il comandante della nave divina, … io vi sono entrato stimato ed esco ingrandito attraverso la porta del Signore dell’Universo”. Nel papiro egizio
di Ani presentato in un articolo del notiziario Clypeus n. 25 del 1964, il padre di Horus Osiride (os –iride, “voce della luce”), viene così descritto: “ Il tuo corpo è simile a metallo chiaro e lucente… La tua testa è di azzurro
intenso… Ti ravvolgono irradiazioni di turchesi”. Nei resoconti di una battaglia avvenuta ai tempi di Ramosis II, scritti sulle pareti dei templi di Karnak, Luxor e Abido nonché su papiri come il Sallier III, non è difficile, per gli studiosi, tradurre curiosi versi del tipo: “ Uadjt abbatteva per me i miei avversari, il suo vento infuocato da braci ardenti era di fronte ai miei nemici … questi raggi bruciavano le membra dei ribelli, e ognuno di loro gridava all’altro’attenti!’. La grande Sekhmet lo guidava … chiunque provava ad avvicinarsi al re il
raggio ardente come fuoco ne bruciava le membra, mentre altri in lontananza volavano via dal terreno, (ed altri si piegavano) con le loro mani alla mia presenza … essi erano a mucchi davanti al mio cavallo, erano stesi a mucchi nel loro sangue”. Nei Rig. Veda X 168 leggiamo di Vayu o Vata: “Correndo sulle vie d’aria, egli non riposa alcun giorno. Amico delle Acque, del primo nato, del beato (Agni) in cui la preghiera nacque, donde venne egli al mondo? Animo degli dei, germe del mondo, dio che girovaga come gli pare. Si fa sentire col suono, ma la sua forma non vista. A questo Vata noi dedicheremo la nostra devota oblazione”. Per comprendere meglio su cosa volava Vata. Un altro verso dei Rig. Veda dice chiaramente: “L’aereo di Vata era enorme Creando mulinelli di polvere, si alzava nell’aria emettendo un fragoroso rumore. Volando nel cielo emetteva una scia di fumo e un accecante sfolgorio rossastro”.
Alcuni antichi scritti indiani ci comunicano addirittura, il tipo di carburante che usavano queste “navi celesti” usate dai loro Deva e deità varie, una sorta di metallo liquido, probabilmente il mercurio come confermerebbero alcuni ritrovamenti di artefatti in vetro e porcellana, che finiscono in un cono con una goccia di mercurioall’interno, rinvenuti nel deserto del Gobbi; che pare servissero da combustibile per i loro mitici Vimana, termine che è stato tradotto in: “uccelli artificiali abitati, uova luminose, ecc.”, spesso descritti nei testi del Ramayana e del Mahabharata come macchine volanti che pare fossero costruite in vari modelli, secondo l’uso che se ne faceva; e si dice che alcune di esse possano essere nascoste tutt’ora nelle caverne del mitico regno sotterraneo di Agharti.

I CIVILIZZZATORI VENUTI DAL CIELO
Si manifestavano gli stessi scenari descritti nei tradizionali testi sacri con le nuvole di Yahweh, l’uomo bianco barbuto venuto dalle stelle. Abbiamo le Stesse affermazioni nella Bibbia, David nel secondo libro di Samuele, dopo il suo insediamento in Gerusalemme, quando ricorda l’intervento divino in sua difesa durante le guerre contro i Filistei ricorda: “Il fumo usciva dalle sue narici; dalla sua bocca uscì un fuoco distruttore mentre braci ardenti schizzavano fuori da essa. una nube caliginosa sorreggeva i suoi piedi. Salì sopra un cherubino e volò; egli si spostò spinto da un vento mentre si formava una nube oscura tutto intorno; lo circondavano come un abitacolo in un fragore d’acque e densissime nubi. Dallo splendore che emanava tra le nubi schizzavano pietre incandescenti. Il Signore tuonava dal cielo, l’Altissimo produceva il suo suono. Scagliò i suoi bolidi e disperse i nemici, vibrò le sue folgori e li mise in fuga”. .(2 Sa 22, 9-15).

Rappresentazioni dell’Occhio di Horus e di Quetzalcoatl (opere del ricercatore Tarzariol Lucio)

Tornando in America, ecco spiegato il perché solo dall’alto, sono apprezzabili le misteriose figure Nazca, che non sono altro che la rappresentazione di animali ed esseri rappresentati anche dalla stessa oreficeria tumbaga e dall’arte precolombiana in genere. Ecco perché nelle rappresentazioni antropomorfe appare sempre un copricapo piumato che arriva perfino a rappresentare il movimento con quei riccioli a spirale che l’artista precolombiano usava in genere per dare il senso del movimento.Gli esseri rappresentati sono sempre gli stessi
dei civilizzatori venuti dal cielo e considerati dalle genti primitive degli Dèi. Si noterà che dalle pietre di Ica sino ai giorni nostri, le varie etnie americane attraverso le rappresentazioni dei copricapo piumati hanno sempre rappresentato e portato con sé il ricordo di questo incontro con gli esseri celesti che avevano la capacità di volare con i loro mezzi incomprensibili, e da questo atavico ricordo hanno portato con se fino ai giorni nostri il mito azteco del Serpente piumato e dei guerrieri aquila.


Il ricordo degli dèi piumati nelle culture Ica, moche, tumbaga, egizia, sumera e indiani d’oggi
ESSERI CELESTI E L’ORIGINE DELL’UMANITÀ
Nel panteon mesopotamico, accade la stessa cosa, Abbiamo Anu come il dio del cielo e Antu la sua degna sposa. Zecharia Sitchin traducendo le sue fantomatiche tavolette trova addirittura il collegamento con località come Chavin de Huantar , a 250 km da Lima, Per, ad un’altitudine di 3150 m s.l.m e Teothuacan, il Luogo degli
Dèi, del dio del tuono e ci riferisce: “Questa ora la storia del perché, nel paese lontano (il Sud America), fu costruito un nuovo luogo dei
carri, e dell’amore di Dumuzi (figlio minore di Enki, delegato alla pastorizia nel suo regno in Egitto) e di Inanna(figlia di Nannar e Ningal, gemella di Utu, signora di Uruk e di Harappa), che Marduk (primogenito di Enki e Damkina, venerato come Ra in Egitto) distrusse, causando la morte di Dumuzi. Accadde dopo la contesa
fra Horus (dio egizio chiamato Horon nella tradizione sumera) e Seth (figlio di Marduk e Sapanit, dio egizio conosciuto come Satu nella tradizione sumera) e dopo la battaglia aerea nei cieli di Tilmun (Terra dei missili, la Quarta Regione nella penisola del Sinai). Enlil (figlio di Anu e Antu e capo della colonia terrestre degli Annunaki) convocò i suoi tre figli in consiglio. Preoccupato per quanto stava accadendo, disse loro all’inizio creammo i Terrestri a nostra immagine e somiglianza. Ora, invece, i discendenti degli Annunaki
sono diventati a immagine e somiglianza dei Terrestri. Prima Caino uccise suo fratello, ora un figlio di Marduk è l’assassino del proprio fratello. Per la prima volta un discendente degli Annunaki, dai Terrestri
ha formato un esercito. Nelle loro mani ha posto armi di un metallo particolare, un segreto degli Annunaki. Dai giorni in cui la nostra legittimità venne sfidata da Alalu (re deposto di Nibiru dopo la guerra nord-sud) e Anzu (pilota di navicella spaziale e primo comandante della Stazione di Passaggio su Marte), gli Igigi (i trecento Annunaki assegnati alle navicelle spaziali e alla Stazione di Passaggio su Marte) hanno continuato a creare problemi e a violare le regole. Ora le vette che fungono da faro (le piramidi di Giza, in
Egitto) si trovano nella terra di Marduk, il Luogo dell’Atterraggio (lo spazioporto a Baalbek, in Libano) controllato dagli Igigi. Ora gli Igigi avanzano verso il Luogo dei Carri. In nome di Seth rivendicheranno per loro tutte le stazioni Cielo-Terra. Questo disse Enlil ai suoi tre figli; propose dunque di adottare delle
contromisure dobbiamo creare in segreto un’installazione alternativa Cielo-Terra che sia creata nella terra di Ninurta (dio di Lagash, primogenito di Enlil e Ninmah, trovò altre fonti doro nelle Americhe), al di là degli oceani, in mezzo a Terrestri a noi leali. Fu così che la missione segreta venne affidata nelle mani di
Ninurta. Nelle Terre delle Montagne, al di là degli oceani, accanto al grande lago, costruì un nuovo Legame Cielo-Terra, lo circondò con un recinto. Ai piedi delle montagne, dove erano disseminate le pepite doro, scelse una pianura con terreno stabile; vi tracciò i segni per l’ascesa e per la discesa
(Teotihuacan il luogo dei carri e in altri luoghi come chiaramente confermano le linee di Nazca). Le stazioni sono primitive, ma serviranno bene allo scopo. Così dichiarò Ninurta al padre da lì possono proseguire le spedizioni di oro su Nibiru, anche noi, in caso di necessità, possiamo da lì ascendere!
Ritornando agli antichi egizi, essi chiamarono Bennu, il loro favoloso uccello che poteva solcare i cieli, che poi nelle leggende greche divenne la Fenice. Viene descritto con il collo color d’oro, rosse piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d’oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe e due
lunghe piume, una rosa e una azzurra che le scivolano morbidamente giù dal capo, erette sulla sommità del capo. In Egitto era solitamente raffigurato on la corona Atef o con l’emblema del disco solare. Si dice anche che dalla gola della Fenice giunse il soffio della vita che animò il dio Shu identificato anche con Anhur, il cui nome significa “Portatore del cielo”, diventando Anhur Shu un Dio barbuto come Quetzalcoatl. Anhur Shu o Ashur era appunto il Dio che gli Assiri veneravano al posto di Marduk e veniva simboleggiato anch’esso da un disco alato. Apparirà chiaro ancora una volta l’intervento genetico alieno che donò “il soffio della vita” e la similarità con l’uccello sacro mesoamericano, Quetzal; se poi sentiamo gli stessi egizi dirci questi versi svanisce ogni dubbio: “Io sono l’anima di Ra, la guida degli Dei nel Duat…Che mi sia concesso entrare come un falco, ch’io
possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino… cantando così divinamente da incantare lo
stesso Ra”. Non a caso a Tiahuanaco in Bolivia, pare che la “Porta del Sole “ riporti la mitica storia di “Orejona”” giunta da Venere nell’isola del sole, nei pressi del lago Titicaca, milioni d’anni fa, a bordo di un’aeronave. Orejona viene descritta con la testa conica, grandi orecchie e mani palmate a quattro dita, essa avrebbe messo al mondo al
mondo 70 figli accoppiandosi con un tapiro, che avrebbero successivamente dato origine alla razza terrestre. Gli “Uros” boliviani, infatti, affermano di essere un popolo più antico degli Incas, esistente prima di To.Ti.Tu., il padre del cielo che creò gli uomini bianchi; dicono di avere il sangue nero e di provenire da un altro pianeta. C’è un passo nel libro della Creazione del popolo Vuh, che evidenzia l’intelligenza superiore dei padri creatori e fondatori della loro civiltà e ci riferisce testualmente queste parole: “Essi vedevano, e potevano vedere lontano all’istante, riuscivano a sapere tutto quello che vi era al mondo. Quando guardavano, vedevano subito tutto intorno a loro e contemplavano di volta in volta l’arco del cielo e il volto rotondo della Terra. le cose nascoste le vedevano tutte, senza doversi muovere; subito vedevano il mondo


Sopra una persona attaccata da esseri uccello – 2000-1600 B.C.; affianco un sigillo raffigurante Annunaki
Nel mio testo L’Invisibile Mistero della Creazione, indagine sulle problematiche cosmologiche e antropologiche, molti sono i riferimenti a misteriose aeronavi che in tempi remoti erano vedute solcare i cieli; alcuni versi del cap. CX Libro dei Morti una descrizione conclude: “Io approdo al momento (…) sulla Terra, all’epoca stabilita,
secondo tutti gli scritti della Terra, da quando la Terra è esistita e secondo quanto ordinato da (…)
venerabile”.
MACCHINE VOLANTI E LA CONOSCENZA DEGLI ANGELI
Esseri provenienti dal cielo, li ritroviamo in vari culti e miti antichi e come disse G.B. Vico, i miti nascondono sempre qualche verità. Ad esempio, tra i testi Manusa dell’India antica, che descrivono fatti realmente accaduti, abbiamo il Mahavira, nel quale fra le innumerevoli descrizioni, possibile leggere questi incredibili versi che incuriosiscono non poco: “Un carro volante trasporta molte persone verso la capitale Ahyodhya. Il cielo è pieno di macchine volanti sorprendenti; nere come l’oscurità, su cui spiccano gialli bagliori”. Nel libro di
Krsna al capitolo 49 si legge: “Deciso ad attaccare Mathura, il re predispose ampie misure. Mobilitò migliaia di carri, elefanti, cavalli e
soldati di fanteria; e con tredici legioni scese in campo e circondò Mathura, la capitale dei re Yadu, per vendicare la morte di Kamsa. Sri Krishna, nella parte di un uomo comune, vide la formidabile potenza di Jarasandha, un oceano di armi e di guerrieri, un oceano sul punto d’inondare tutta una spiaggia, vide il
terrore degli abitanti di Mathura e rifletté sulla Sua missione di avatara come affrontare questa nuova situazione? Lo scopo della Sua missione era quello di ridurre il fardello dei popoli, ed ecco giunta l’occasione di affrontare in una sola volta tanti uomini, carri, elefanti e cavalli. La potenza militare di Jarasandha si schierava di fronte a Lui in tutta la sua imponenza ed Egli l’avrebbe annientata senza lasciare ai nemici il tempo di battere in ritirata e riorganizzarsi.
Mentre Sri Krishna era assorto in questi pensieri, due carri da guerra, perfettamente equipaggiati di auriga armi stendardi e altri oggetti bellici, apparvero in cielo e scesero davanti a Lui. (in realtà quali carri potevano discendere dal cielo?), Krishna Si rivolse allora a Suo fratello Balarama, chiamato anche
Sankarsana. Mio caro fratello maggiore, Tu sei il migliore degli arya, il Signore dell’universo, e in particolare degli Yadu che sono ora terrorizzati di fronte all’esercito di Jarasandha. Prendi posto sul Tuo carro, che lì, ben armato, e proteggili; vai ad affrontare tutti quei guerrieri nemici e distruggi la loro
potenza. Noi siamo scesi sulla Terra al fine di eliminare questi inutili spiegamenti di forze militari e proteggere i virtuosi bhakta. Ecco l’occasione di adempiere la Nostra missione. Andiamo dunque! Così, Krishna e Balarama, discendenti di Dasarha, il re di Gadadha, decisero di annientare le tredici legioni di
Jarasandha.Krishna salì sul carro condotto da Daruka, e al suono delle conchiglie (in realtà cosa si intendeva per
suono delle conchiglie?) uscì dalla città seguito da un piccolo esercito. Stranamente, benché il nemico fosse di molto superiore per numero e armamenti, quando il suono della conchiglia di Krishna giunse alle orecchie dei guerrieri di Jarasandha, il loro cuore tremò. Scorgendo Krishna e Balarama, Jarasandha fu preso da un sentimento di compassione perché quei due fratelli, in fondo, erano suoi nipoti; poi, rivolgendosi a Krishna, Lo chiamò Purusadhama, il più vile tra gli uomini, mentre le scritture vediche glorificano Krishna come Purusottama, il pi elevato tra gli uomini Jarasandha non intendeva certo chiamare Krishna Purusottama, ma grandi eruditi hanno messo in luce il vero significato del termine Purusadhama Colui che con la sua presenza fa scomparire ogni altra personalità. In realtà, nessuno può uguagliare o superare Dio, la Persona Suprema” . Più avanti si legge: “Gli abitanti dei pianeti celesti, al colmo della gioia, offrirono i loro rispetti al Signore cantando le Sue glorie e lasciando cadere su di Lui piogge di fiori; mostrarono così la loro ammirazione per la Sua vittoria e ancora Krishna impugnò il Suo arco, Sarnga. Sfilando una dopo l’altra le frecce dalla faretra, Egli tendeva l’arco e le scoccava contro il nemico con una mira così precisa che gli elefanti, i cavalli e i soldati di Jarasandha passarono ben presto al regno della morte. Quell’incessante pioggia di frecce pareva un turbine di fuoco che distruggeva tutte le armate di Jarasandha. Gli elefanti stramazzavano al suolo decapitati dalle frecce di Krishna, i cavalli crollavano travolgendo carri, stendardi e guerrieri, mentre la fanteria giaceva a terra,
testa mani e gambe mozzate”.
Un antico testo tibetano narra: “Bhima volò via con il suo carro radioso come il sole e fragoroso come il tuono… il carro volante splendeva come una fiamma nel cielo di una notte destate… avanzava maestosamente come una cometa… era come se brillassero due soli. Quindi il carro saliva e tutto il cielo
si illuminava”.
Anche l’Odissea di Omero ci propone alcune curiosità, sulla vita di Omero le antiche fonti ci hanno lasciato numerose leggende che gli attribuiscono oltre i due grandi poemi, anche una serie di poemi detti Ciclici. Nel V sec. a. C. venne scritta una biografia, attribuita ad Erodoto. Nell’Odissea di Omero, lungi da essere fantasia, come si sosteneva, dato che l’opera si rivelata essere una realtà, con la scoperta archeologica dei resti della città di Troia, Ulisse viene pi volte soccorso dagli dei attraverso Atena e l’alato Ermete che lo aiutano a neutralizzare gli incantesimi come quello della ninfa Calipso, il dio alato annuncia infatti alla ninfa la decisione degli dèi di ridare la libertà a Ulisse. Giunto presso i Feaci e poi nel paese dei Ciclopi, tocca finalmente le rive di Itaca e teme di non riuscire a vincere i numerosi avversari, ancora una volta aiutato da Atena. Nell’Odissea tradotta da Ippolito Pindemonte si leggono ambigui versi che possono essere interpretati sotto un’altra ottica: “Gli sorse incontro co’ suoi monti ombrosi L’isola de’ Feaci, a cui la strada Conducealo più corta, e che apparìa Quasi uno scudo alle fosche onde sopra. Sin dai monti di Solima lo scorse Veleggiar per le salse onde tranquille Il possente Nettun, che ritornava dall’Etopia”, più avanti si legge: “Molte allor de’ Feaci in mar famosi Fur le alterne parole. Ahi! chi nel mare Legò la nave che vèr noi solcava L’acque di volo, che apparìa già tutta? Così, gli occhi volgendo al suo vicino, Favellava talun: ma rimanea La cagion del portento a tutti ignota. Altri versi narrano: “Dimmi il tuo suol, le genti e la cittade, che la nave d’intelletto
piena Prenda la mira, e vi ti porti. I legni Della Feacia di nocchier mestieri Non han, nè di timon mente hanno, e tutti Sanno i disegni di chi stavvi sopra. Conoscon le cittadi e i pingui campi, E senza tema di ruina o storpio, Rapidissimi varcano, e di folta Nebbia coverti, le marine spume”. i Feaci erano in grado di
trasportare Ulisse dalla loro terra fino a Itaca, in Grecia e fare ritorno a Corfù nello stesso giorno, e ciò come
potevano farlo?
I sacerdoti delle antiche civiltà mesopotamiche affermarono che la loro conoscenza, fu insegnata agli uomini da angeli discesi dal cielo. Nella Bibbia si accenna pi volte ad esseri semi divini chiamati angeli, che oggi si potrebbero chiamare in tutt’altro modo, già nel 1950 l’astronomo Morris Jessup lo fece notare, scrisse addirittura
un libro: La Bibbia e gli UFO, quest’idea poi fu ripresa da altri studiosi e ricercatori. Nella mia ricerca personale, ho notato varie, e interessanti descrizioni sulla figura degli Angeli. Nell’Apocalisse, Giovanni descrive gli angeli simili agli uomini, vestiti con lunghi abiti di lino puro, splendente e cinti al petto di cinture doro, proprio come le
divinità dei popoli precolombiani, l’Apocalisse descrive l’angelo messaggero con i capelli della testa candidi, simili a lana candida come la neve, gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi con l’aspetto del bronzo splendente purificato nel crogiuolo, e il suo volto paragonato al sole quando splende in tutta la sua forza. Una
cosa interessante è che nell’Apocalisse questi si ritengono solo servitori di Dio, nell’Apocalisse (22, 8, 9) si legge: “Sono io Giovanni, che ho visto e udito queste cose. Udite e vedute che le ebbi, mi prostrai in adorazione ai piedi dell’Angelo che me le aveva mostrate. Ma egli mi disse: Guardati dal farlo! Io sono un
servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro che custodiscono le parole di questo libro. É Dio che devi adorare”. A confermare l’esistenza di una civiltà mondiale, basti constatare le similitudini tra i siti, ad esempio, sia l’astronomia inca che quella sumera e tolteca avevano 12 case dello zodiaco, con molte coincidenze tra loro; ricordiamo inoltre, che come vi era una croce sullo scudo di Quetzalcoatl, vi era una croce nel emblema egizio del Disco Alato e la croce vi era anche come simbolo sumero del pianeta Nibirù. Anche le rappresentazioni e simbologie di molte deità altro non sono che le rovine e i ricordi di un’arcaica civiltà avanzata che possedeva macchine volanti ed una conoscenza tale da passare per divinità agli occhi delle culture primitive di tutto il mondo che, come “l’Occhio di Quetzalcoatl”, l’uccello sacro, in realtà l’aeronave vista come il “Serpente con le piume di Quetzal”, che venivano rappresentate secondo le loro innate sensazioni, capacità artistiche e consapevolezze evolutive. L’Occhio di Qetzalcoatl fu trovato a Teotihuacan, nel 1957 ed è stato acquistato da collezionisti messicani trasferiti negli USA, che proprio in un loro ritorno a Chichén Itzà, al centro delle rovine, ne entrarono in possesso proprio nell’luogo del ritrovamento a Teotihuacan, nella città di San Juan, in un locale pubblico dove il reperto archeologico e stato offerto loro. A quei tempi, infatti, non era difficile ottenere questo tipo di reperti. Da quello che ho potuto sapere, mai è stata riconosciuta la rappresentazione ritenuta finora come la rappresentazione di una divinità sconosciuta, lungi dall’essere considerata la rappresentazione dell’uccello sacro Quetzal, o del dio Quezalcoatl e confrontata con l’Occhio di Horus.

QUETZALCOATL, HORUS, ED UN MITICO CONTINENTE


Teotihuacan, la Città degli dei, Mexico, luogo del ritrovamento dell’Occhio di Quetzalcoatl e affianco una scultura datata 300 a.C. rappresentante un dignitario mezcala, probabilmente uno dei fondatori di questa città, notare l’essenzialità architettonica della città a confronto con dettagli scultorei dell’artefatto.
L’occhio di Horus veniva solitamente rappresentato con sopraciglio e con una sorta di lacrima ed una sorta di virgola’ attaccati sotto di esso, viene chiamato anche ‘UJAT’, e simboleggia tradizionalmente il dio Horus i cui occhi erano ritenuti essere il sole e la luna. Successivamente quando la città di Eliopoli ebbe il sopravvento religioso su Menfi, Horo che all’inizio era un dio locale adorato solo nella regione del delta del Nilo, ebbe diffusione in tutto l’Egitto, tanto da essere assimilato al dio Ra e così il sole venne erroneamente associato all’occhio di quest’ultimo lasciando all’altra divinità l’occhio lunare. Simbolicamente si ritiene che la coscienza sveglia, sia un’estensione dello stato subcosciente, pertanto si afferma simbolicamente, che Heru sia un discendente di Ra. A questo punto credo si possa affermare che questa credenza sia legata ancestralmente
all’intervento genetico degli “Arconti celesti” apportato sulle genti primitive come ci ricordano molti miti della Creazione spogliati dal simbolismo raccolto in epoche successive.
Antiche leggende narrano che l’occhio fosse stato tolto ad Horo da Seth durante una lotta tra i due, successivamente quest’occhio sarebbe stato restituito, o a seconda delle tradizioni, sarebbe ritornato da solo ad Horo, dove venne reimpiantato dal dio Toth. Si dice che il dio del sole Ra sia stato il giudice che, presiedeva il tribunale e divise in origine il territorio fra di essi, a Seth offrì il dominio dell’Alto Egitto mentre a Horus lasciò quello del Basso Egitto. L’occhio sovrastato da sopraciglio assume anche il simbolo di salute e rigenerazione e
la lacrima sotto di essa che appare come una spirale per alcuni è solo il tratto residuo del piumaggio del falco, animale del quale Horus poteva, per l’appunto, prendere le sembianze, essendo egli un dio del cielo riconosciuto dai funzionari, e dal faraone stesso, come divinità a protezione della dinastia allora regnante; infatti la sua divinità ebbe grande importanza e diffusione in tutte le dinastie dell’ Antico Egitto.
Horus è anche il signore della profezia e dio dei cacciatori, associato all’orizzonte orientale e alle terre straniere, per l’appunto le terre di Quetzalcoatl ed i suoi “guerrieri aquila”. Non è un caso che le piramidi di Teotihuacan, per alcuni aspetti, oltre a essere simili alle ziggurat sumere, sono simili alle piramidi di Giza; basti pensare che la Piramide del Sole e la Grande Piramide di Cheope sono entrambe costruite su piattaforme artificiali e misurano al lato rispettivamente 227 metri a Teotihuacan e 230 metri a Giza con uno scarto minimo di tre metri.
Nel mio testo “L’Invisibile Mistero della Creazione”, riporto alcuni approfondimenti sull’origine dei geroglifici riportando il fatto, che non a casi, alcuni studiosi sostengono, che tredici geroglifici egizi siano risultati simili a tredici geroglifici maya, e ciò significa che c’è stata una migrazione, o comunque un contatto di uno stesso
popolo, forse proprio gli atlantidi. Quindi diventa logico ipotizzare tracce dell’esistenza di Atlantide al largo di Bimini, non sono il solo a contemplare tale idea già il noto medium Edgar Cayce lo fece, anzi ne profetizzo anche il ritrovamento che puntualmente avvenne come profetizzato nel 1968, molti anni dopo la sua morte;
peccato che la formazione di pietre scoperta davanti a Bimini sia ritenuta oggi solo una formazione naturale. In ogni caso è bene sapere che molte sono state le tesi in merito, ad esempio a Madrid un discendente di Hernan Cortés, un professore chiamato Jean de Troy Ortalano, aveva in suo possesso un raro documento noto
col nome di Codex Troanus, che apparteneva da generazioni alla sua famiglia. Questo documento di settanta pagine, in seguito riunito con l’altra metà, il Codex Cortesianus di quarantadue pagine, fu ribattezzato “codice di Madrid” e costituisce il manoscritto maya più importante e corposo esistente al mondo, e proprio da questo, già Nel 1864 l’abate Charles Etienne Brasseur, detto de Bourbourg, lo scopritore del “Popol Vuh”, che in Guatemala salvò i così detti Annali di Cakhiquel, opera redatta da un gruppo maya affine ai Quiché, trovò sostegno ai miti atlantici narrati dagli indigeni della Mesoamerica; ritenendo, per l’appunto, che una grande isola continentale
chiamata Mu, “Atlantide”, si estendesse un tempo dal golfo del Messico fino alle isole Canarie. I maya, a suo parere, discendevano dai superstiti di un grande cataclisma, anzi una serie di cataclismi, che avevano inghiottito quel continente. Egli avanzò l’ipotesi che la civiltà fosse nata proprio ad Atlantide, e non nel Vicino Oriente come
si riteneva e si ritiene generalmente, e che fossero stati i superstiti di Atlantide a introdurre la civiltà in Egitto, oltre che nell’America Centrale. Queste idee però allora non ebbero fortuna nel mondo accademico, come accade tuttora, ma se non altro fornirono e forniscono, per alcuni obbiettivi ricercatori, una spiegazione a certe
sconcertanti somiglianze fra la civiltà e scrittura maya e quella egizia. Del resto il de Bourbourg tradusse i manoscritti applicando il metodo inventato nel cinquecento da Diego de Landa, un monaco spagnolo che divenne vescovo dello Yucatan; lo stesso che dal 1562 in poi fece bruciare i testi maya ritenendoli solo
superstizione; ma il caso lo portò poi a interessarsi alla scrittura maya elaborando una sua tavola comparativa tra simboli e alfabeto che successivamente fu ritenuta errata. Ed è proprio da questa tavola comparativa che il de Bourbourg tradusse i manoscritti traendo le sue idee ed anche il termine Mu, prima di allora sconosciuto,
anche se nel famoso libro sacro Maya, ora al British Museum, si legge: “Nell’anno 6 del Kan, il II muluc, nel mese di zac, si fecero dei terribili terremoti e continuarono senza interruzione sino al 13 chuen. La contrada delle colline di Argilla, il paese di Ma, fu sacrificato. Dopo essere stato scosso due volte,
scomparve ad un tratto durante la notte. Il suolo era continuamente sollevato da forze vulcaniche, che lo facevano alzare ed abbassare in mille località.” Questo testo è chiamato il Popol Vuh (letteralmente, “libro della comunità” o “del consiglio”) o per l’appunto, il testo sacro dei Maya Quiché del Guatemala che raccoglie la
genesi, la mitologia e la storia antica per quanto riguarda le migrazioni e il contatto con le culture olmeca, tolteca
e maya yucatena.
Successivamente, fu ritenuto che il manoscritto di Madrid trattasse in realtà di astrologia, ma nonostante ciò, molti contagiati da queste idee si ispirarono sull’argomento, come l’americano Ignatius Donnelly che scrisse:
Atlantis, the Antediluvian World, (“Atlantide, il mondo antidiluviano”) e James Churchward, un colonnello dell’esercito britannico in pensione, che, nel corso dei suoi viaggi in Oriente alla fine dell’Ottocento, finì con l’imbattersi nella storia di una remota civiltà scomparsa nella notte dei tempi, proprio il continente di Mu, l’Impero del Sole, fonte di tutte le antiche civiltà del pianeta, in una serie di antichissime tavolette di terracotta, le tavolette dei Naacal, custodite in un tempio indiano, ma in realtà non è mai stata accertata la loro esistenza. Ne scrisse addirittura un libro: Mu: The Lost Continent, pubblicato nel 1926; che avviò una serie di teorie e pubblicazioni che ancora oggi trovano interesse presso una grande numero di curiosi. Ma del resto già il secolo prima nel 1830 appare anche un curioso libro, Il libro di Mormon, una vera e propria bibbia della setta dei Mormoni, che
descrive una distruzione con caratteristiche atlantidee ricavata, a quanto pare, anch’essa dal ritrovamento di alcune tavole scritte in una lingua sconosciuta; e racconterebbe dei superstiti del popolo di Nefi, che si erano rifugiati in tempo in una terra ricca costruendo templi e città, tra cui il tempio di Palenque ed una grande fortezza
identificata poi con Machu Picchu.
Continuando ad approfondire l’argomento sui geroglifici, nel mio testo racconto: “Per quanto riguarda i geroglifici, questi si attribuiscono al sacerdote egizio Imothep a lui rivelati dal dio Thot, Thut, Dehuti, o quello di Dehut, colui che “controllava le acque”, forse lo stesso Enoc, settimo patriarca ebreo, il Thot del quale il noto
Papiro di Torino fa sapere essere il sesto o settimo faraone d’Egitto, “l’altissimo barbuto” successore di Osiride colui la cui dimora “poggiava sull’acqua e aveva muri formati da serpenti vivi”, così si legge nel Libro dei Morti. Di Thoth, affermano che i suoi scritti sono anteriori a quelli di Sanchoniaton di ottocento anni, quello che si sa di Lui realmente, ci giunge solo da alcuni papiri e da iscrizioni come quella della “Stele di Metternich” conservata nel museo del Cairo; certo è che visse tra i 40000 e i 9000 anni fa. Erodoto assicura che il dio egizio
Thoth giunse sulla terra 17570 a. C.; egli avrebbe inventato la scrittura annottando nei suoi rotoli, e nel “Libro del Respiro”, andati perduti, i rituali da compiere per la trasformazione da uomo a divinità (dono della sensienza) cominciando a controllare per l’appunto il respiro, cosa che fece di Lui il simbolo della conoscenza umana. Infatti
tali conoscenze si riscontrano non solo nei luoghi del sapere ermetico egizio, ma anche in oriente, dove gli yogi praticano il pranayama con lo scopo di dominare i movimenti respiratori, come è affermato testualmente al cap.
50 pag. 397 del libro di Krsna. I rotoli di Thoth sarebbero stati nascosti su due colonne erette, prima del Diluvio, da un certo Set, uno dei “Figli del Drago, o del Dio Serpente”, forse gli stessi “Ierofanti egizi e babilonesi”; situate a Eliopoli e Tebe. Solone racconta che vi fosse incisa la storia di Atlantide; Erodoto rammenta che da queste
colonne arrivò il sapere d’Egitto e ricorda che una era d’oro puro e l’altra di smeraldo, ed entrambe capaci di risplendere di notte. Un’altra leggenda similare narra che saputo dell’imminente diluvio, non Thoth, ma Enoch, cioè l’”Iniziato”, prima di salire al cielo, con il figlio Matusalemme costruì nove stanze sotterranee nascondendovi
in fondo una tavoletta triangolare d’oro, o di pietra bianca con il nome dell’impronunciabile Dio degli Ebrei, e sopra avrebbe eretto due colonne una di marmo l’altra di mattoni con incise le sette scienze dell’umanità. Lo storico Manetone, nel raccogliere le storie d’Egitto, ci riferisce di quattro periodi dinastici prima dei faraoni, uno
dei quali, nel 10700, era il regno di Thoth, definito anche “colui che calcola i cieli, e il misuratore della terra”. Era il tempo di Imothep, l’architetto delle prime Piramidi, di cui si dice sia stato allievo dei “Veglianti” scesi sulla terra a bordo di “navi celesti”. Dagli scritti di Sanconiatone si viene a conoscenza che nell’”Età dell’Oro”, quando gli
uomini vivevano in armonia con gli dei, Taautus, il Thot egizio, fondò la civiltà egizia, egli costruì un vascello, una “Camera Celeste”, che usò per viaggiare nello spazio e quando lascio l’Egitto, salutando i sacerdoti disse loro: “Adesso ritorno dal paese da dove venni”.
IL MISTERO DI QUETZALCOATL , GLI “UOMINI UCCELLO” E UNA MISTERIOSA RAZZA
Oltre al noto “l’Occhio di Quetzalcoatl” che rappresenterebbe una sorta di astronave che un tempo solcava i cieli del Pianeta; molti altri sono i reperti tuttora allo studio della Paleoastronautica, che testimoniano la facoltà di volare degli antichi popoli. Infatti tutte quelle Deità azteche, egizie, su mere e assire, come Quetzalcoatl,
Horus, Ashur, Marduk, ecc.; di cui si racconta avere la facoltà di far piovere fuoco o annientare i nemici con lampi e paragonati a uccelli, spesso scolpiti in sculture che li rappresentano alati o assisi ad uscire dal becco di un uccello, non sono altro che la rappresentazione di quei esseri civilizzati che potevano volare su incredibili
vascelli volanti, atterrando ed uscendo da essi e che le genti primitive potevano solo considerare e rappresentare simili ad uccelli. Queste teorie sono chiaramente esposte ed approfondite già nel mio libro L’Invisibile mistero della Creazione, indagine sulle problematiche cosmologiche e antropologiche; qui di seguito
alcune sculture rappresentanti “vascelli spaziali” ne testimoniano la realtà.

Il libro “L’Invisibile Mistero della Creazione” di Lucio Tarzariol e l’Occhio di Quetzalcoatl”, simile
all’occhio di Horus, in realtà la rappresentazione di una navicella spaziale.


Confronto tra le piramidi di Teotihuacan in Messico, quelle di Giza in Egitto e la ziggurat di Ur.
La leggenda più nota racconta che Horus, figlio di Iside ed Osiride volesse vendicare la morte del padre, ucciso dal fratello Seth, che voleva governare da solo sull’ Egitto. Seth, per sfuggire alla colpa fece a pezzi il corpo del fratello e lo sparse nel deserto, per far in modo che non venisse mai trovato. Iside piangeva il marito morto e Horus, che giurò vendetta, promise alla madre che avrebbe ritrovato il padre defunto; prese le sembianze di falco volò su tutto il deserto e grazie alla potenza della sua vista ritrovò i 14 pezzi del corpo di suo padre. Iside poi ricompose il corpo del marito, garantendogli un sereno viaggio nell’aldilà. Si dice che nel punto esatto in cui Horus trovò i 14 pezzi del corpo del padre sorsero le 14 province d’Egitto, che Horus protesse per sempre. A mio parere credo che questa leggenda sia legata ai miti di Teotihuacn, Infatti, si racconta che lì Quetzalcoatl
si impadronì di alcune ossa preziose e le portò a Tamoanchan Luogo della nostra origine e le diede alla, dea, donna serpente Cihuacoatl; Essa prese le ossa e le mise in una vasca di terracotta dai bordi sottili. Quetzalcoatl fece sanguinare il suo organo maschile e sparse il suo sangue su di esse. Sotto gli occhi degli altri dèi, essa
mischiò le ossa fatte di terra con il sangue del dio ne derivò una mistura simile ad argilla, con la quale fu
modellato Macehuales, il primo uomo.
Nei racconti sumerici, queste deità prendono il nome di Enki e Ninti (Colei che dà la vita, detta anche Ninharsag) che davano vita ad Adapa, il primo uomo. Questi racconti poi furono ripresi da Mosè e giunsero a noi attraverso la Genesi, il primo libro della Bibbia. Basti ricordare la Creazione di Adamo dall’argilla ed Eva da una sua costola, poi divenuti i primi abitatori del Giardino dell’Eden, per l’appunto, il “Luogo della nostra Origine”, dove ebbero luogo tutte le saghe degli “Elohim” che ritroviamo anche nei testi di Enoch con il nome “Vigilanti”; e nelle pagine della storia egizia che riconferma queste saghe. Infatti Plutarco racconta che gli egizi narravano
come al nascer d’Osiride, s’era udita una voce che disse esser venuto a luce il signore di tutte le cose. Finalmente Iddio dall’uomo (Is, Isch), trae la donna (Ise, Ischa), in modo da stabilire fra essi il più stretto grado di consanguineità; ma senza però che questa sia, a parlar propriamente, figliuola di quello. Diodoro siculo, a conferma, ci ricorda che Osiride padre di Oro nacque in Nisia d’Arabia dove c’è una colonna scolpita con lettere sacre dedicata ad Iside e Osiride; e mi soffermo su quella frase dove Osiride dice: “E sono il maggiore dei figlioli de’ Saturno, Pianta nata dalla bellezza, et dalla generosità; la quale non ha avuto dal seme l’origine sua”. Virgilio, ricordato dal Cartari nel suo libro “Immagini de i Dei degli antichi”, non da meno ricordando la grande Madre, la dea della Frigia chiamata anche Berecinthia (cioè dal monte Berecinto, un altura come l’Hermon per i Vigilanti e gli Anunnaki), ci dice: “Qual Berecinthia madre de gli Dei Coronata di tori sopra il carro Sen va per la città di Frigia altera Della divina sua prole, onde cento Nipoti tutti abitator del Cielo Si vede intorno, e quei sovente abbraccia”. Apparirà chiaro il significato di tutti questi versi che vanno ad indicare soltanto una creazione avvenuta con una manipolazione genetica; del resto quello era il tempo della “Creazione dell’uomo senziente”. Come Mosè prima del diluvio numera nove generazioni di uomini longevi, cominciando dal figliolo di Adamo, così lo storico Manetone ne conta nove di re semidei, cominciando dal figliolo di Osiride.; mentre la V cronica ne conta solo otto, ma probabilmente essa annoverava Orro fra gli dei piuttosto che fra i semidei, ma queste sono altre storie che potete trovare e approfondire nel mio testo L’Invisibile mistero della Creazione, Indagine sulle problematiche cosmologiche e antropologiche (V. Atalanta 2005).
Alcuni azzardano addirittura associare Quetzalcoatl a Gesù affermando che Egli fu un esperimento genetico grazie al quale YHWH riuscì ad ibridare il Sapiens con l’Elohim Michele; e così come Ganesha è Michele “Gesù” atterrarono in India con uno scafandro che le primitive tribù della Valle dell’Indo
scambiarono per un volto d’elefante; Quetzalcoatl è Michele “Gesù” sbarcarono nelle regioni americane con un’astronave con luci e fumi che fu scambiata per un serpente piumato.
Certo è che questi dei sembrano essere venuti sul nostro pianeta per i loro interessi o scopi sperimentali, portando nel contempo istruzione all’uomo mettendolo sulla via dello sviluppo tecnico, sociale e culturale e ciò appare più che un indizio, dal momento che i testi pervenutici dalle antiche civiltà del pianeta, esprimono tutti
una simile realtà, a ricordarci che gli “Dèi vennero dal cielo” e le scoperte archeologiche come l’Occhio di Quetzalcoatl lo confermano. Del resto sono molti gli indizi che fanno supporre un legame tra le civiltà arcaiche e visitatori extraterrestri. In Egitto, per esempio, nel 1992 l’archeologo Howard Carter scoprì la tomba del mitico
faraone Tutankhamen. Insieme a reperti di inestimabile valore, scoprì le figure di due piccole mummie dalle dimensioni fetali. Una era un feto mummificato, ma la seconda mummia, avvolta in bende sacre, non presentava una morfologia umana. L’essere aveva una gabbia toracica più larga ed alta della nostra, le braccia e le dita erano insolitamente lunghe, il viso terminava a punta, con zigomi sporgenti, il naso e la bocca erano minuscoli.
Questa descrizione corrisponde perfettamente alla casistica delle Ebe o Grigi, ed è ricollegabile al culto della Dea Madre che, a mio parere, nasconde in sé l’antico intervento genetico da parte aliena che creò da prima
l’umanità e poi un ceto aristocratico che governo il “Zep Tepi” o Primo Tempo dell’umanità senziente che fu dotata del sapere “dell’albero della Conoscenza del Bene e del Male”. Misteriosamente, come sempre accade, la mummia andò persa durante il suo trasferimento al Cairo, unitamente alle foto.

L’astronomo Gerarld S. Hawkins, noto studioso di archeoastronomia, riportandone una versione del mito racconta: “C’erano cinque dee della luna, tutte sorelle, che salirono un giorno sulla cima di un colle a fare penitenza per i loro peccati. La prima aveva nome Coatlicue e indossava una gonna di serpenti intrecciati. Il sole era suo marito ed era stato reso luminoso e possente da lei. Coatlicue stette in cima al colle e fu resa gravida, La vita si mosse dentro di lei. Alcuni dicono che accadde quando una piuma colorata toccò il suo seno. Altri dicono che il sole pose uno smeraldo nella sua bocca, e così fu che accadde. Al tempo giusto ella si ingrossò e fece nascere il grande dio, che fu chiamato Quetzalcoatl. Il
suo nome significava “serpente con piume e penne”. Egli aveva un gemello che viveva nel mondo degli spiriti e che talvolta assumeva la forma di un cane. Ma Coatlicue aveva già una grande famiglia. Alcuni dicono che avesse 400 figli, tutti guerrieri. Altri dicono che il numero fosse 4000. I figli gridarono: «Chi è colui che ha reso gravida nostra madre?». Quando venne detto loro che era stato il sole furono pieni di odio per lui. Fecero guerra al dio sole. I 400 fratelli fecero guerra, uccisero il sole e seppellirono il suo
corpo nella sabbia. Un avvoltoio volò da Quetzalcoatl che aveva l’aspetto di un ragazzo di 9 anni e gli raccontò dell’assassinio. Un coyote, un’aquila e un lupo aiutarono Quetzalcoatl a trovare il corpo e un esercito di talpe lo portò nel buio mondo sotterraneo per raggiungere le ossa. Per vendicare la morte di suo padre egli combatté e uccise tutti i 400 guerrieri. Gli dei trasformarono Quetzalcoatl nella forma di un uomo bello con ampia fronte, dalla pelle fine, con grandi occhi e una barba chiara. La sua faccia era sporca di nerofumo onde mostrare che apparteneva al buio cielo notturno. Indossava una collana di conchiglie marine e dal suo dorso pendeva un uccello quetzal dalla lunga coda, il bellissimo uccello
verde che vive sulla cima degli alberi, nella giungla. Come uomo gli fu data la forza e un cuore puro. Egli disdegnava lussuria e piaceri e rinunciava a compiere sacrifici umani. Viveva in un tempio con 4 stanze rivolte ad est, ovest, nord e sud, rivestite d’oro, di smeraldi, di conchiglie di mare e d’argento. Da un colle a Tollan si poteva udire la sua voce per una distanza di 10 leghe. Egli si trasformò in una formica nera e rubò il grano alle formiche rosse. Quando percorreva la terra sotto forma di uomo insegnava alla
gente a coltivare il frumento e a fare vasi di terracotta. Era pacifico, resisteva a tutte le tentazioni ed era pieno d’amore per tutte le cose. A mezzanotte usava andare sulle rive di un torrente con sua sorella a bagnarsi e pregare.
Ma il tempo lo cambiò al punto che la sua faccia non era più umana. Gli occhi erano infossati, la pelle pallida e raggrinzita, le palpebre infiammate. Quando si guardò in uno specchio egli vide la sua debolezza e disse: «Se il popolo mi vede griderà “È debole, è pallido!” e mi uccideranno». Perciò Quetzalcoatl si ritirò in un nascondiglio. Un nemico ingannevole ed astuto lo raggiunse e gli parlò. Il nemico lo rivestì con un abito di piume fini. Gli dipinse di rosso le labbra, come quelle di una donna, gli
dipinse la fronte di giallo come il sole e gli mise una barba fatta di belle piume di uccello. Quando ebbe finito, il nemico gli mostrò lo specchio e Quetzalcoatl fu compiaciuto. Tre nemici lo portarono nella loro casa. Gli recarono il succo inebriante della pianta di maguey e dissero: «Bevi!» ma egli rifiutò
ricordando i suoi voti. Quetzalcoatl intinse le dita nella coppa e aveva un buon sapore. Così ne bevve 5 coppe piene. Col vino divenne brillo e i suoi servi pure. La compagnia non condusse più una vita pura e divennero molto crudeli. Quetzalcoatl mandò sacerdoti e imperatori e contro il popolo intero”a chiamare
sua sorella e anch’essa bevve 5 coppe e divenne brilla col vino. Ci fu musica e ci fu festa nella casa e tutti i piaceri sensuali. Fratello e sorella giacquero assieme e peccarono. Trascorse il tempo e Quetzalcoatl sprofondò in una disperazione totale. Sentiva di non essere più un dio, di non essere il celebrato figlio della dea con la gonna di serpenti. Andò a cercare un responso dagli oracoli. I segni erano tutti contro di lui. Decise di fare penitenza per i suoi peccati. Ordinò che venisse fatta una bara di
pietra e vi giacque come morto, alcuni dicono per 4 giorni altri per 8. Seppellì il suo oro e tutte le sue ricchezze e ingiunse al suo popolo di marciare con lui verso est, verso il litorale dicendo: «il dio-sole mi chiama a lui, devo andare». Egli migrò con i suoi seguaci verso la terra del sole. «Non voltatevi indietro»

diceva, «Tenete un passo fermo; perverrete a qualcosa». Lungo il cammino i demoni lo spogliarono delle sue arti, dell’agricoltura, dell’arte di fare gioielli, della scrittura e della poesia. Quando arrivò alla spiaggia, Quetzalcoatl indossò la veste reale piumata e coprì la sua faccia con una maschera turchese.
Un rettangolo giallo era dipinto sulla sua fronte. Alcuni dicono che egli salì su una zattera magica sospinta da serpenti e navigò al largo, dicendo al suo popolo che un giorno sarebbe ritornato come dio e nobile re. Altri dicono che raccolse della legna e costruì una catasta per un grande fuoco vicino alla
spiaggia. Vi si gettò sopra finché fu consumato nel gran calore. Le ceneri del suo corpo si trasformarono subito in uccelli del paradiso. Il suo cuore sorse dalle fiamme e salì nel cielo del mattino e il suo sangue divenne Venere-Quetzalcoatl, la stella splendente del mattino. Dal suo trono in cielo Venere scaglia
frecce sul mondo, contro guerrieri Questa divinità, forse giunta con un’astronave “Scudo giacente”, pare potesse trasformarsi in varie forme ed era un dio generalmente ritenuto, come Horus, anche un simbolo del sole e della creazione; il dio guerriero del cielo e proprio come il dio egizio Horus, lo vediamo barbuto con vesti bianche e portatore di conoscenza.

Una pietra di Ica che rappresenta un intervento chirurgico, a fianco una curiosa scultura moche ed uno strano bassorilievo sulle pareti del tempio tardo Tolemaico di Hathor a Dendera, in Egitto.
Questo parallelismo tra Africa e America trova conferme anche nella scoperta di Murry Hope che nel suo libro Il Segreto di Sirio (Corbaccio 1997). Alle analisi, le mummie regali della XVIII dinastia presenterebbero gruppo sanguigno A. Considerando che il gruppo sanguigno pi diffuso in Egitto era, ed è ancora oggi, il gruppo 0, la
cosa risulta insolita. La stranezza aumenta se consideriamo che il gruppo A di solito si accompagna al tipo di persone dalla pelle chiara e gli occhi azzurri o comunque chiamato caucasico. Viene da chiedersi cosa ci facevano individui dall’aspetto nordico tra i faraoni dell’Egitto del Nuovo regno? In più alcune mummie inca, conservate al British Museum di Londra hanno dato i medesimi risultati (gruppo A e aspetto caucasico) del tutto estranei alle popolazioni pre-ispaniche del Nuovo Continente, individui biondi dalla pelle chiara tra le caste dominanti dell’Egitto e d’America. Il professor W.C. Emery, autore di Archaic Egypt è convinto che si tratti di un popolo venuto dall’esterno, non
indigeno, tenutosi a distanza dalla gente comune, unitosi solo con le classi aristocratiche. Inoltre mummie bionde e dai tratti caucasici sono state ritrovate anche in India e in Cina, sembra che in un’epoca antica, una popolazione di questo tipo abbia stabilito colonie proprio in tutto il globo, mantenendo piuttosto circoscritta la sua
mescolanza genetica in un elite. La domanda che ci si pone è sempre la stessa, chi erano questi popoli biondi del tutto estranei alle etnie locali? Che legame avevano con gli Shemsu Hor, i semidei Seguaci di Horus e i biondi Viracocha delle mitologie americane? Verso la fine del IV millennio a.C. il popolo noto come i Seguaci di
Horus, che appare come un’aristocrazia altamente dominante che governava l’intero Egitto. La teoria dell’esistenza di questa razza è confortata dalla scoperta nelle tombe del periodo pre-dinastico, nella parte settentrionale dell’Alto Egitto, dei resti anatomici di individui con un cranio e una corporatura di dimensioni
maggiori rispetto agli indigeni locali, con differenze talmente marcate da rendere impossibile ogni ipotesi di un comune ceppo razziale. Ugualmente in Messico sono stati ritrovati teschi allungati o deformi, più grandi del normale, e ciò incrementa i legami tra l’Egitto e l’America, oltre ad accrescere la possibilità di un ceppo razziale
comune alla base delle due culture.
La scoperta della presenza di tabacco e cocaina tra i capelli e nelle fasce delle mummie egiziane ne è un’altro indizio notevole, considerando che tabacco e cocaina sono piante originarie del sud-America e non vi sono segni di loro coltivazioni nell’Egitto antico. Inoltre proprio nella XVIII dinastia, interessata dal gruppo sanguigno
A, ha regnato il faraone Amenofi IV, meglio noto come Akhenaton, menzionato in precedenza, che amava farsi ritrarre in statue e bassorilievi proprio con un cranio allungato e una corporatura tozza, caratteristiche riscontrate nel ceppo pre-dinastico menzionato da Emery. Traccia di un possibile legame lo si trova nel gruppo sanguigno
del suo successore Tutankhamon, figlio del faraone eretico, che, come per altri membri della XVIII dinastia, di tipo A. Akhenaton ricordato per la sua riforma religiosa, ispirata al monoteismo del Dio Sole Aton rappresentato solitamente anch’esso con due piume in testa. Considerando che il culto solare è il più antico che l’umanità
ricordi (insieme a quello della Grande Madre), non è fantascientifico ipotizzare un legame culturale e forse genetico tra questo faraone e ceppi razziali non egiziani, la cui linea genealogica appartenente forse ad una cultura avanzata pre-esistente a quella Egizia

LA PORTA DEGLI DEI
Concludendo abbiamo visto che le più logiche interpretazioni delle tradizioni simboliche e mitologiche, lo studiodei testi sacri, la traduzione delle tavolette di argilla sumere, le ricerche sul DNA delle mummie, le scoperte archeologiche nei vari siti, le varie analisi chimiche, la presenza di artefatti anacronistici, ecc. portano tutti alla

stessa conclusione, l’esistenza di una civiltà remota avanzata che aveva mezzi tecnologici e conoscenze tali che solo ora, rileggendo il sovrapporsi di culti e miti, iniziamo a comprendere, comprese quelle aeronavi che potevano varcare gli oceani; e L’Occhio di Quetzalcoatl ne è solo una delle rappresentazioni pi accurate giunta
sino ai nostri giorni.
In un articolo di Paul Damon (TruthSeekers Research INT.) da AlunaJoy’s newsletter, HAUK’IN SPECTRUM – Aprile 1999, tradotto dal ricercatore Luca Brugnoli, si racconta di una misteriosa struttura di roccia, somigliante una porta alta 7 metri e altrettanto larga, con una piccola alcova di 2 metri nel centro, è stata recentemente trovata da Jose Luis Delgado Ma mani, nelle Hayu Marca Mountain nella regione del Peru meridionale, a 35 Km dalla città di Puno, chiamata dagli Indiani: Città degli Dei. Gli Indiani nativi della zona raccontano di “un passaggio per la terra degli Dei” e raccontano che in un lontano passato, i grandi eroi erano andati ad incontrare i loro déi; passando per la porta si preparavano per una nuova vita immortale e talvolta tornavano, attraversando la stessa porta con gli Dei per “ispezionare le terre del loro regno.” Un’altra leggenda dice che al tempo dei
saccheggiamenti e trafugazioni d’oro degli Inca da parte dei conquistadores spagnoli, un sacerdote Inca del tempio dei 7 raggi, chiamato Aramu Maru, scappò dal suo tempio con un disco d’oro sacro conosciuto come “La chiave degli Dei dei 7 raggi” e si nascose tra le montagne di Hayu Marca. Il sacerdote fu visto da alcuni sciamani nei pressi della porta, con il loro aiuto iniziò il rituale e aprì “con il disco” la piccola porta, “l’alcova” dalla quale fuoriusciva una luce blu brillante. Aramu Maru consegnò il disco ad uno sciamano e attraversò la porta: non fu mai più rivisto. Gli archeologi hanno scoperto una piccola sede circolare alla destra dell’alcova e suppongono
che sia il posto dove il disco veniva posizionato per il rituale. il complesso ricorda “La porta del sole ” di Tiahuanaco e altri 5 siti archeologici uniti tra loro da linee immaginarie che guarda caso s’incrociano in un punto che sulla carta geografica corrisponde all’altopiano e lago Titicaca. Nuovi rapporti da questa regione, negli ultimi 20 anni, hanno indicato numerosi avvistamenti UFO in tutta l’area. Molti degli avvistamenti riguardano sfere blu e dischi bianchi. La leggenda sopra riportata conclude con una profezia: la porta degli Dèi sarà un giorno riaperta “molte volte più grande di come è adesso.” e permetterà agli dei di ritornare nelle loro “navi solari”. Sembra che questa civiltà di antichi dèi ancora ci stia osservando, non a caso molte sono le notizie di questi avvistamenti UFO in queste regioni e nel mondo. Il messicano Carlos Diaz da oltre vent’anni è testimone di avvenimenti
ufologici, ma a noi basta ricordare solo la non ultima notizia che rissale al 31 dicembre 2007, proprio presso la cittadina messicana di Mezcala dove un grande disco volante luminoso è stato osservato da tutta la popolazione muoversi lentamente sopra la città, passando per la piazza principale, fino a raggiungere una collina adiacente, Pie de Minas, ricca di giacimenti di uranio, zinco, oro, argento e rame e li atterrare, rimanendo visibile per circa 30 ore. Un gruppo di persone che riuscito ad avvicinarsi a circa 50 metri dall’oggetto, ha riferito di un tradizionale disco volante di colore metallico che emetteva una forte luce bianco-bluastra.
Un tempo probabilmente queste divinità atterravano con le loro aeronavi su apposite piste o strutture sopraelevate, come appare evidente anche nell’imponente piramide di Cuicuilco, nella valle di Anahuac, a pochi Km da Città del Messico. Questo monumento fatto risalire a circa 8-10.000 anni fa, sarebbe addirittura,
contemporaneo all’uomo di Tepexpan, il più antico esemplare umano mai ritrovato finora in America centrale e sicuramente non in grado di edificare una simile costruzione. Infatti giunge notizia che il medico spagnolo Hernandez, che, all’epoca della Conquista spagnola, visitò la piramide, scrivendo dettagliati e resoconti al
proprio sovrano Filippo II. riferì di aver trovato resti di enormi animali nei pressi del monumento e resti umani che, a suo parere, dovevano esser appartenuti a persone altre per lo meno 4-5 metri; sicuramente sono gli stessi giganti Refaim o Nephilim, accennati nella Bibbia, che fondarono città come Balbek in Libano, di cui parla
più ampiamente il sacerdote del dio Baal, Beroso, nelle Antichità Caldaiche di Anio da Viterbo e che leggendariamente, pare, secondo la gente del posto, costruirono anche questa piramide.
Non a caso in tutti questi luoghi compaiono i così chiamati OOPart, un termine che deriva dall’acronimo inglese Out of Place Artifacts (reperti o manufatti fuori posto), coniato dal naturalista americano Ivan Sanderson per dare un nome ad una categoria di oggetti di difficile collocazione storica. Essi sono tutti quei reperti archeologici o
paleontologici che, secondo le comuni convinzioni riguardo al passato, si suppone non siano potuti esistere nell’epoca a cui asseriscono le datazioni.

L’imponente piramide di Cuicuilco, nella valle di Anahuac, a pochi Km da Città del Messico, a fianco una sorta di pista di atterraggio che si trova a 3000 km a sud del Peru e una raffigurazione delle linee di Nazca scoperte casualmente nel primo novecento dal geografo americano Paul Kosok e studiate ampiamente dall’archeologa Maria Reich dell’Università di Amburgo.


Horus e Amon in una rappresentazione nella valle dei re, notare che Amon riporta le due piume sul copricapo comunemente ritrovabili nelle rappresentazioni scultoree delle civiltà precolombiane; a fianco una rappresentazione egizia dell’occhio di Horus.

Concludo questa ricerca con un ampio respiro sulla “Creazione” vista e pensata dai Maya. i
Maya la creazione del mondo avvenne per opera di un Dio creatore, Hu Nab Ku, che significa “l’unico Dio che è”, come quello degli ebrei, ecco come descrivono la creazione:
“Questo è il racconto di quando tutto era fermo, tutto calmo, in silenzio; tutto senza movimento, tranquillo, e la distesa del cielo era vuota.
Questo è il primo racconto, la prima narrazione. Non v’era né uomo né animale, né uccelli, pesci, crostacei, alberi, pietre, crepacci, erbe, foreste: v’era solo il cielo.
La superficie della terra non era ancora apparsa. V’era solo il placido mare e la grande
distesa del cielo. Non v’erano cose messe insieme, non v’era nulla che potesse far rumore, nulla che
potesse muoversi o tremolare, o potesse far rumore nel cielo. Non v’era nulla in piedi; solo la calma acqua, il placido mare, solitario e tranquillo. Nulla esisteva. V’era solo immobilità e silenzio nell’oscurità, nella notte. Soltanto la Creatrice, il Creatore, Tepeu, Gucumatz, gli Antenati erano nell’acqua circondati dalla luce.
Essi erano nascosti sotto le piume verdi e turchine e perciò erano chiamati Gucumatz. Per loro natura essi erano grandi saggi e grandi pensatori. In tal modo esisteva il cielo,
ed anche il Cuore del Cielo, che è il nome di Dio, e così Egli è chiamato. Poi venne la parola. Tepeu e Gucumatz s’incontrarono nell’oscurità, nella notte e
parlarono insieme. Essi parlarono, discussero, deliberarono; si trovarono d’accordo, unirono le loro parole e i loro pensieri”

Tarzariol Lucio

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